martedì 28 ottobre 2014

GENITORI DEL TERZO MILLENNIO: NON E' COSI' FACILE!

Venerdi 31 ottobre in occasione del Mese del Benessere Psicologico terrò il seminario: "Genitori del terzo millennio: non è così facile!"
Il seminario ha come obiettivo quello di offrire informazioni utili sul tema della genitorialità e di allestire uno spazio di riflessione e condivisione sulle pratiche educative dei genitori di oggi.
Orario: 18:00/20:00
Indirizzo: Piazza di villa Fiorelli 2 d - Roma
Per prenotazione: http://www.sipap.it/eventi/genitori-del-terzo-millennio-non-e-cosi-facile/

mercoledì 1 ottobre 2014

Riparte il Mese del Benessere Psicologico!

Anche quest'anno per il mese di Ottobre parte l'iniziativa del Mese del Benessere Psicologico....Gli psicologi che hanno aderito al progetto offrono consulenze e seminari gratuiti alla cittadinanza!
Per informazioni e prenotazioni vai su:  www.sipap.it


mercoledì 30 luglio 2014

Autostima: un orto dove si coltiva bellezza

Il giardino dell'artista a Giverny (Monet 1900)
Mai come oggi si sente ovunque parlare dell’importanza dell’ autostima, come causa e cura di molti malesseri psicologici individuali, tanto che la si circonda di luoghi comuni attribuendole spesso effetti totalizzanti. Su riviste, specializzate e non, inoltre, si parla dell’autostima come se si potesse aumentare o ridurre a nostro piacimento, attraverso l’apprendimento delle più svariate strategie e tecniche.

Ma cos’è in realtà l’autostima?
Nella letteratura psicologica l’autostima si presenta come un costrutto molto complesso, riguardante essenzialmente la rappresentazione mentale che ciascuno ha di sé. Racchiude in particolare un insieme di valutazioni e giudizi, nonché reazioni emotive, che le persone sperimentano quando  osservano e pensano a se stesse. William James, (1890) definiva l’autostima come il rapporto tra il Sé percepito di una persona e il suo Sé ideale: il Sé percepito corrisponde al concetto di sé, alla conoscenza di quelle abilità e competenze che un individuo pensa di possedere; mentre il Sé ideale è l’immagine della persona che ci piacerebbe essere. Secondo James quindi una persona sperimenterà una tanto più  bassa autostima quanta più discrepanza ci sarà tra il Sé percepito e il Sé ideale. Al contrario, più alta sarà la soddisfazione di se stessi quanto più vicine saranno queste due immagini.

L’autostima, tuttavia, non è qualcosa che alberga e si alimenta dentro la persona, isolata dall’ambiente, come se questa fosse “una specie di sacco  chiuso” e pieno di caratteristiche individuali, ma è fortemente influenzata da fattori culturali e sociali e connessa alla rete di relazioni di cui l’individuo fa parte.
Le persone, infatti, strutturano percezioni e idee su di sé non osservandosi dinanzi ad uno specchio, ma immerse nell’ambiente e nel contesto di relazioni di cui fanno parte. In pratica, sin dall’infanzia, gli individui imparano a stimarsi e giudicarsi all’interno di relazioni, osservando come vengono  stimati e giudicati dagli altri. Allo stesso modo, però, è anche vero che le persone con cui entriamo in relazione, vengono costantemente influenzate, circolarmente, dall’immagine di noi che trasmettiamo. Per cui bambini, ad esempio, con un forte temperamento potranno più di altri proteggersi da relazioni familiari disfunzionali e squalificanti, mentre bambini con un temperamento più debole saranno più facilmente influenzabili.
Ciò, inoltre, potrebbe spiegare perché individui adulti che abbiano raggiunto molti successi nella vita conservino una bassa stima di sé e, in modalità vagamente narcisistica, debbano ambire a mete sempre più elevate per star bene con se stessi. Al contrario, persone maggiormente capaci di “accontentarsi” possono godere di un’ elevata soddisfazione di sé.

Viene subito in mente quindi l’importanza del prendersi cura di sé, intesa come capacità di valorizzarsi, allenandosi a cercare la bellezza che alberga dentro di noi, sforzandoci di ricordare le nostre risorse e punti di forza, anche in fasi della vita in cui ciò sia risultato più difficile. Esistono momenti, infatti, in cui balzano agli occhi con più facilità i propri limiti ed è necessario uno sforzo per riconnettersi alle proprie abilità e competenze.
E’ importante, altresì, nell’ottica di un’etica della relazione, il prendersi cura dell’altro, inteso come l’allenarsi,  talvolta compiendo uno sforzo, a ricercare la bellezza in chi ci circonda, riconoscendo le sue specifiche risorse e competenze, anche nei momenti  in cui potrebbero apparire poco evidenti.

Penso all’autostima come ad un orto in cui si coltivi bellezza, un orto aperto agli altri che possano aiutare a concimarlo o a inaridirlo ed al contempo quanto sia importante offrire un buon concime all’orto dei nostri vicini. Appare quasi ovvio, infatti, quanto sia più facile ottenere un buon raccolto se possediamo un terreno fertile di partenza (il temperamento, i tratti caratteriali, ecc.) ma ancor di più se siamo circondati da bravi contadini (relazioni genitoriali, coniugali, amicali, ecc.) che ci aiutino a  produrre bellezza.
E come, secondo la teoria del caos “un minimo battito d'ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall'altra parte del mondo”, così le piccole azioni, nostre e altrui, possono incrementare il benessere in chi ci è accanto ed avere dei riverberi o effetti a catena, in più relazioni e più ampi sistemi viventi.

                                                       
                                                                                               Dott.ssa Stefania Attanasi


Bibliografia
James. W. (1890), Principles of psychology, N.Y.C., Holt, trad.it.: Principi di psicologia, Milano, Ed. Libraria, 1901.

lunedì 27 gennaio 2014

TRISTEZZA, ANGOSCIA, IRRITABILITA’: SIGNIFICATI E FUNZIONI DEI SINTOMI DEPRESSIVI



Malinconia (Munch 1892)
A tutti qualche volta è capitato di sperimentare giornate in cui il tono dell’umore è basso e grigio, in cui ci si sente malinconici, stanchi, irritabili ed i pensieri circolanti sono per la maggior parte negativi. Questi momenti, però, si possono facilmente contrastare grazie ad una qualsiasi piacevole attività (una buona compagnia, una bella passeggiata, ecc.) o dissolvere spontaneamente con il semplice trascorrere del tempo.

Differentemente da uno stato transitorio, invece, nella depressione l’abbassamento del tono dell’umore è più intenso e persistente e non basta una semplice attività piacevole per migliorarlo. La depressione, infatti, è un vero e proprio disturbo psicologico caratterizzato da un insieme di sintomi che causano disagio clinicamente significativo e compromettono il funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree della vita del soggetto. Così come riportato nel Manuale dei Disturbi Mentali (DSM-IV-TR, 2007) i sintomi che si possono presentare sono diversi: umore depresso, diminuzione di interesse o piacere per le normali attività, aumento o perdita significativa di peso, insonnia o ipersonnia, agitazione o rallentamento psicomotorio, ridotta capacità di concentrarsi, emozioni di autosvalutazione e colpa,  pensieri di morte e suicidari.

Dagli anni ’80 in poi si è verificato un forte incremento di questo disturbo soprattutto nei paesi Occidentali, fino a stimare che negli USA ne soffrirebbe circa il 10% della popolazione; tale trend, anche se più contenuto, riguarderebbe ugualmente i paesi europei e inizierebbe a coinvolgere maggiormente le fasce d’età più giovani. A conferma di tali dati c’è il vero e proprio boom degli antidepressivi, che risultano attualmente tra i farmaci più prescritti ed utilizzati.
Ma quali sono le cause di una diffusione così massiccia della depressione? In realtà, il panorama statistico, lungi dal presentarsi così tragico, è passibile di una differente interpretazione. Alcuni autori, infatti, studiosi del fenomeno, suggeriscono che nell’era moderna, fortemente orientata al consumismo ed alla produttività, le emozioni negative come tristezza, angoscia, irritabilità, interferendo con il normale funzionamento e rendimento di un individuo, vengano sempre più “patologizzate”.  Anche quando appaiono giustificate da eventi critici che normalmente apportano sofferenza nella vita di una persona (un lutto, una separazione, un licenziamento, ecc.) entro certe soglie resterebbero “normali reazioni” ma, superati anche di poco determinati limiti (sintomatici, temporali, ecc.), rientrerebbero nel quadro del disturbo depressivo, che risulterebbe così tra le patologie statisticamente più frequenti (Andolfi M., Loriedo C., Ugazio V. 2011).

E’ come se la depressione si stesse lentamente svuotando dei suoi significati e valenze psicologiche e relazionali per divenire sempre più “medicalizzata”. Ciò comporterebbe anche una minore capacità a comprendere e gestire le emozioni coinvolte, tanto che, quando tristezza, angoscia, ecc. sopraggiungono ci si sente sopraffatti e impotenti come quando si è colpiti da una qualsiasi altra disfunzione organica, talvolta, curabile esclusivamente attraverso una terapia farmacologica.
La depressione, invece, come ogni altro sintomo di natura psicologica, dovrebbe sollevare nella persona sofferente profondi dubbi e interrogativi sulla qualità attuale della propria vita, in quanto è strettamente legata alla storia della persona. Essa, infatti, può sopraggiungere per  suggerire che potrebbe essere necessario un momento di sospensione dalla normale routine quotidiana per fermarsi ed ascoltarsi, dando voce alle proprie emozioni, anche le più spiacevoli. Può consentire di operare una riflessione sulla fase di vita che si sta percorrendo, comprendere se qualcosa non sta andando per il verso giusto nelle nostre relazioni attuali e se è necessario apportare dei cambiamenti. 
La depressione, talvolta, può rappresentare una richiesta di aiuto verso l’ambiente circostante, celando un bisogno di vicinanza, accudimento e appartenenza prima non manifestato.

A tal proposito, alcune ricerche, accreditano sempre più l’ipotesi che nelle persone depresse, soprattutto quelle croniche, il disturbo rappresenti come un tempo di resa, un momento auto-curativo dove i sintomi servirebbero a chiudere, almeno temporaneamente, un ciclo di comportamenti interpersonali caratterizzati da forte conflittualità e rabbia (Pettit J.W. and Joiner T.E. 2006; Hammen, 1999). La depressione avrebbe così il valore di un messaggio di “non attacco” e porrebbe le basi per recuperare una maggiore armonia nelle proprie relazioni. Si è visto, infatti, che anche nei primati non umani i sintomi depressivi costituirebbero, a livello relazionale, dei messaggi con cui i singoli cercano di essere riammessi “nel gruppo” (Andolfi M., Loriedo C., Ugazio V. 2011). Il gruppo, nel nostro caso, potrebbe equivalere alla coppia o alla famiglia ma anche agli altri contesti di vita di un individuo (lavorativi, amicali, ecc.).

Il depresso, specie quello cronico, sembrerebbe pertanto intrappolato in una o più relazioni disfunzionali, caratterizzate da forte conflittualità, che non riescono a cambiare. Ciò spiegherebbe la ciclicità del disturbo: una volta rientrati nel “gruppo” e scomparsi i sintomi, riemergerebbero tra i membri le problematiche scatenanti il conflitto, a meno che, nel frattempo non siano verificati dei cambiamenti a livello relazionale.
Tali studi dimostrerebbero quindi l’importanza di recuperare l’aspetto psicologico e relazionale della depressione, per ricominciare a familiarizzare con le emozioni negative in essa implicate e comprendere quali problematiche relazionali potrebbero sottendere alla sofferenza.

La depressione, infatti, può sopraggiungere per salvare l’individuo da condizioni relazionali che, protratte nel tempo, potrebbero peggiorare e minare profondamente il suo benessere. I sintomi, insieme alla sofferenza, offrono sempre la possibilità di un cambiamento, sarebbe bene riuscire ad accoglierli ed imparare a decifrare il loro sottile e complesso linguaggio… magari un giorno sentiremmo anche di doverli ringraziare!

                                                                                  
                                                                                                                  Dott.ssa Stefania Attanasi



Bibliografia

Andolfi M., Loriedo C., Ugazio V. (2011). Depressioni e sistemi - Il peso della relazione.- Franco Angeli, Milano.

DSM- IV- TR (2007) Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, Text Revision, Masson Spa, Milano.

Hammen C.(1999). The Emergence of an Interpersonal Approach to Depression. In: Joiner T.E. and Coyne J.C., editors, The interactional nature of depression. Washington, DC: American Psychological Association.

Pettit J.W. and Joiner T.E. (2006). Chronic Depression. Interpersonal Sources, Therapeutic solutions. Washington, DC: American Psychological Association.