mercoledì 30 luglio 2014

Autostima: un orto dove si coltiva bellezza

Il giardino dell'artista a Giverny (Monet 1900)
Mai come oggi si sente ovunque parlare dell’importanza dell’ autostima, come causa e cura di molti malesseri psicologici individuali, tanto che la si circonda di luoghi comuni attribuendole spesso effetti totalizzanti. Su riviste, specializzate e non, inoltre, si parla dell’autostima come se si potesse aumentare o ridurre a nostro piacimento, attraverso l’apprendimento delle più svariate strategie e tecniche.

Ma cos’è in realtà l’autostima?
Nella letteratura psicologica l’autostima si presenta come un costrutto molto complesso, riguardante essenzialmente la rappresentazione mentale che ciascuno ha di sé. Racchiude in particolare un insieme di valutazioni e giudizi, nonché reazioni emotive, che le persone sperimentano quando  osservano e pensano a se stesse. William James, (1890) definiva l’autostima come il rapporto tra il Sé percepito di una persona e il suo Sé ideale: il Sé percepito corrisponde al concetto di sé, alla conoscenza di quelle abilità e competenze che un individuo pensa di possedere; mentre il Sé ideale è l’immagine della persona che ci piacerebbe essere. Secondo James quindi una persona sperimenterà una tanto più  bassa autostima quanta più discrepanza ci sarà tra il Sé percepito e il Sé ideale. Al contrario, più alta sarà la soddisfazione di se stessi quanto più vicine saranno queste due immagini.

L’autostima, tuttavia, non è qualcosa che alberga e si alimenta dentro la persona, isolata dall’ambiente, come se questa fosse “una specie di sacco  chiuso” e pieno di caratteristiche individuali, ma è fortemente influenzata da fattori culturali e sociali e connessa alla rete di relazioni di cui l’individuo fa parte.
Le persone, infatti, strutturano percezioni e idee su di sé non osservandosi dinanzi ad uno specchio, ma immerse nell’ambiente e nel contesto di relazioni di cui fanno parte. In pratica, sin dall’infanzia, gli individui imparano a stimarsi e giudicarsi all’interno di relazioni, osservando come vengono  stimati e giudicati dagli altri. Allo stesso modo, però, è anche vero che le persone con cui entriamo in relazione, vengono costantemente influenzate, circolarmente, dall’immagine di noi che trasmettiamo. Per cui bambini, ad esempio, con un forte temperamento potranno più di altri proteggersi da relazioni familiari disfunzionali e squalificanti, mentre bambini con un temperamento più debole saranno più facilmente influenzabili.
Ciò, inoltre, potrebbe spiegare perché individui adulti che abbiano raggiunto molti successi nella vita conservino una bassa stima di sé e, in modalità vagamente narcisistica, debbano ambire a mete sempre più elevate per star bene con se stessi. Al contrario, persone maggiormente capaci di “accontentarsi” possono godere di un’ elevata soddisfazione di sé.

Viene subito in mente quindi l’importanza del prendersi cura di sé, intesa come capacità di valorizzarsi, allenandosi a cercare la bellezza che alberga dentro di noi, sforzandoci di ricordare le nostre risorse e punti di forza, anche in fasi della vita in cui ciò sia risultato più difficile. Esistono momenti, infatti, in cui balzano agli occhi con più facilità i propri limiti ed è necessario uno sforzo per riconnettersi alle proprie abilità e competenze.
E’ importante, altresì, nell’ottica di un’etica della relazione, il prendersi cura dell’altro, inteso come l’allenarsi,  talvolta compiendo uno sforzo, a ricercare la bellezza in chi ci circonda, riconoscendo le sue specifiche risorse e competenze, anche nei momenti  in cui potrebbero apparire poco evidenti.

Penso all’autostima come ad un orto in cui si coltivi bellezza, un orto aperto agli altri che possano aiutare a concimarlo o a inaridirlo ed al contempo quanto sia importante offrire un buon concime all’orto dei nostri vicini. Appare quasi ovvio, infatti, quanto sia più facile ottenere un buon raccolto se possediamo un terreno fertile di partenza (il temperamento, i tratti caratteriali, ecc.) ma ancor di più se siamo circondati da bravi contadini (relazioni genitoriali, coniugali, amicali, ecc.) che ci aiutino a  produrre bellezza.
E come, secondo la teoria del caos “un minimo battito d'ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall'altra parte del mondo”, così le piccole azioni, nostre e altrui, possono incrementare il benessere in chi ci è accanto ed avere dei riverberi o effetti a catena, in più relazioni e più ampi sistemi viventi.

                                                       
                                                                                               Dott.ssa Stefania Attanasi


Bibliografia
James. W. (1890), Principles of psychology, N.Y.C., Holt, trad.it.: Principi di psicologia, Milano, Ed. Libraria, 1901.

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