martedì 28 luglio 2015

PRIGIONIERI NELLA PASSIVITA', LIBERI NELLA RESPONSABILITA'

La ricchezza della mia attività clinica mi porta quotidianamente all’ascolto di storie individuali, di coppia e familiari di persone che decidono di volerle raccontare e condividere. Sono storie finalmente pensate, talvolta taciute e poi narrate, storie da approfondire e sviluppare o da connettere con altre, passate e contemporanee; questo perché possa svelarsi un nuovo senso che produca per vie traverse il benessere psicologico della persona narrante.
Ogni storia ha una sua specificità, nella sua bellezza o amarezza, nei contenuti e trame, nelle emozioni che la colorano, nel linguaggio usato, come anche nella sintassi che la caratterizza. Ad esempio, può notarsi il frequente utilizzo di alcuni verbi piuttosto che altri o il consueto ricorrere a specifici aggettivi o pronomi che, combinandosi in quel particolare modo, compongono ogni storia, ognuna diversa da un’altra.

Nel post di oggi vorrei soffermarmi proprio sull’importanza della sintassi di ogni storia, sul modo cioè in cui possono combinarsi le parole al suo interno e come ciò possa far cogliere il senso e significato della stessa. A tal proposito, di fondamentale importanza trovo l’utilizzo del pronome personale “Io” e come questo possa caratterizzare la trama di una storia, se preferito agli altri pronomi. Mi riferisco in qualche modo al sentirsi protagonisti e non spettatori della propria vita e all’assumersi la responsabilità del suo andamento e qualità; come anche alla possibilità di staccarsi dalle storie scritte dagli altri per sé, o da quelle che invece sembrano ripetersi tra le generazioni, storie ereditate che si vorrebbero invece superare.

La parola responsabilità, infatti, deriva dal latino respònsus, participio passato del verbo respòndere, e indica la facoltà o possibilità di rispondere, a qualcuno o a sé stessi, delle proprie azioni e conseguenze che ne derivano. Responsabilità quindi come presa di consapevolezza della storia in cui ci si trova e l’importanza di fare la propria parte, al fine di realizzare i propri desideri e  perseguire il benessere psicologico.
Quante volte capita di lamentarsi della propria esistenza e giornate, con atteggiamento passivo e infruttuoso addossando la responsabilità agli altri o guardando a situazioni fuori di sé ritenute proprio malgrado immutabili? O quante volte si aspetta che arrivi qualcuno dall’esterno pronto a “salvarci”, preferendo noi restare immobili?

E’ più semplice e facile, infatti, costruire e narrare la propria storia partendo dall’altro come soggetto: “Perché lui mi ha fatto/detto, perché loro sono così, ecc.” assumendo un atteggiamento passivo o vittimistico, senza alcun potere su ciò che accade nella propria vita. Ma quest’atteggiamento se ad un livello consente di alleggerire la coscienza, perché libera dal peso delle responsabilità, dall’altro imprigiona e paralizza. Essere responsabili significa invece sentirsi liberi di scegliere, in movimento, riacquistando potere rispetto alla propria esistenza e quindi benessere: “In che modo io posso cambiare questa cosa che non mi piace?”, “Cosa faccio io per mantenere questa situazione in vita?”, "Come mi comporto per migliorare o peggiorare la mia condizione?"...

Ovviamente non viviamo isolati gli uni dagli altri ma immersi in relazioni e contesti che ci influenzano e che influenziamo circolarmente con le nostre scelte e i nostri comportamenti. Parlare in termini di io però consente di riconoscere il nostro specifico contributo a creare o mantenere i contesti e relazioni che abitiamo, assumendo parte della nostra responsabilità e riacquistando la libertà che ciascuno ha nella propria vita.
Parlare in termini di io, esprimendo le proprie emozioni e agendo secondo ciò che si sente, dimostra quindi di avere un atteggiamento più attivo e rispettoso verso la propria esistenza; inoltre, comprendendo l’importanza della propria autenticità e integrità all’interno delle relazioni, si coltiverà necessariamente un atteggiamento più umile e rispettoso verso il sentire e la diversità dell’altro.
                      

                                                                                                            Dott.ssa Attanasi Stefania