lunedì 27 gennaio 2014

TRISTEZZA, ANGOSCIA, IRRITABILITA’: SIGNIFICATI E FUNZIONI DEI SINTOMI DEPRESSIVI



Malinconia (Munch 1892)
A tutti qualche volta è capitato di sperimentare giornate in cui il tono dell’umore è basso e grigio, in cui ci si sente malinconici, stanchi, irritabili ed i pensieri circolanti sono per la maggior parte negativi. Questi momenti, però, si possono facilmente contrastare grazie ad una qualsiasi piacevole attività (una buona compagnia, una bella passeggiata, ecc.) o dissolvere spontaneamente con il semplice trascorrere del tempo.

Differentemente da uno stato transitorio, invece, nella depressione l’abbassamento del tono dell’umore è più intenso e persistente e non basta una semplice attività piacevole per migliorarlo. La depressione, infatti, è un vero e proprio disturbo psicologico caratterizzato da un insieme di sintomi che causano disagio clinicamente significativo e compromettono il funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree della vita del soggetto. Così come riportato nel Manuale dei Disturbi Mentali (DSM-IV-TR, 2007) i sintomi che si possono presentare sono diversi: umore depresso, diminuzione di interesse o piacere per le normali attività, aumento o perdita significativa di peso, insonnia o ipersonnia, agitazione o rallentamento psicomotorio, ridotta capacità di concentrarsi, emozioni di autosvalutazione e colpa,  pensieri di morte e suicidari.

Dagli anni ’80 in poi si è verificato un forte incremento di questo disturbo soprattutto nei paesi Occidentali, fino a stimare che negli USA ne soffrirebbe circa il 10% della popolazione; tale trend, anche se più contenuto, riguarderebbe ugualmente i paesi europei e inizierebbe a coinvolgere maggiormente le fasce d’età più giovani. A conferma di tali dati c’è il vero e proprio boom degli antidepressivi, che risultano attualmente tra i farmaci più prescritti ed utilizzati.
Ma quali sono le cause di una diffusione così massiccia della depressione? In realtà, il panorama statistico, lungi dal presentarsi così tragico, è passibile di una differente interpretazione. Alcuni autori, infatti, studiosi del fenomeno, suggeriscono che nell’era moderna, fortemente orientata al consumismo ed alla produttività, le emozioni negative come tristezza, angoscia, irritabilità, interferendo con il normale funzionamento e rendimento di un individuo, vengano sempre più “patologizzate”.  Anche quando appaiono giustificate da eventi critici che normalmente apportano sofferenza nella vita di una persona (un lutto, una separazione, un licenziamento, ecc.) entro certe soglie resterebbero “normali reazioni” ma, superati anche di poco determinati limiti (sintomatici, temporali, ecc.), rientrerebbero nel quadro del disturbo depressivo, che risulterebbe così tra le patologie statisticamente più frequenti (Andolfi M., Loriedo C., Ugazio V. 2011).

E’ come se la depressione si stesse lentamente svuotando dei suoi significati e valenze psicologiche e relazionali per divenire sempre più “medicalizzata”. Ciò comporterebbe anche una minore capacità a comprendere e gestire le emozioni coinvolte, tanto che, quando tristezza, angoscia, ecc. sopraggiungono ci si sente sopraffatti e impotenti come quando si è colpiti da una qualsiasi altra disfunzione organica, talvolta, curabile esclusivamente attraverso una terapia farmacologica.
La depressione, invece, come ogni altro sintomo di natura psicologica, dovrebbe sollevare nella persona sofferente profondi dubbi e interrogativi sulla qualità attuale della propria vita, in quanto è strettamente legata alla storia della persona. Essa, infatti, può sopraggiungere per  suggerire che potrebbe essere necessario un momento di sospensione dalla normale routine quotidiana per fermarsi ed ascoltarsi, dando voce alle proprie emozioni, anche le più spiacevoli. Può consentire di operare una riflessione sulla fase di vita che si sta percorrendo, comprendere se qualcosa non sta andando per il verso giusto nelle nostre relazioni attuali e se è necessario apportare dei cambiamenti. 
La depressione, talvolta, può rappresentare una richiesta di aiuto verso l’ambiente circostante, celando un bisogno di vicinanza, accudimento e appartenenza prima non manifestato.

A tal proposito, alcune ricerche, accreditano sempre più l’ipotesi che nelle persone depresse, soprattutto quelle croniche, il disturbo rappresenti come un tempo di resa, un momento auto-curativo dove i sintomi servirebbero a chiudere, almeno temporaneamente, un ciclo di comportamenti interpersonali caratterizzati da forte conflittualità e rabbia (Pettit J.W. and Joiner T.E. 2006; Hammen, 1999). La depressione avrebbe così il valore di un messaggio di “non attacco” e porrebbe le basi per recuperare una maggiore armonia nelle proprie relazioni. Si è visto, infatti, che anche nei primati non umani i sintomi depressivi costituirebbero, a livello relazionale, dei messaggi con cui i singoli cercano di essere riammessi “nel gruppo” (Andolfi M., Loriedo C., Ugazio V. 2011). Il gruppo, nel nostro caso, potrebbe equivalere alla coppia o alla famiglia ma anche agli altri contesti di vita di un individuo (lavorativi, amicali, ecc.).

Il depresso, specie quello cronico, sembrerebbe pertanto intrappolato in una o più relazioni disfunzionali, caratterizzate da forte conflittualità, che non riescono a cambiare. Ciò spiegherebbe la ciclicità del disturbo: una volta rientrati nel “gruppo” e scomparsi i sintomi, riemergerebbero tra i membri le problematiche scatenanti il conflitto, a meno che, nel frattempo non siano verificati dei cambiamenti a livello relazionale.
Tali studi dimostrerebbero quindi l’importanza di recuperare l’aspetto psicologico e relazionale della depressione, per ricominciare a familiarizzare con le emozioni negative in essa implicate e comprendere quali problematiche relazionali potrebbero sottendere alla sofferenza.

La depressione, infatti, può sopraggiungere per salvare l’individuo da condizioni relazionali che, protratte nel tempo, potrebbero peggiorare e minare profondamente il suo benessere. I sintomi, insieme alla sofferenza, offrono sempre la possibilità di un cambiamento, sarebbe bene riuscire ad accoglierli ed imparare a decifrare il loro sottile e complesso linguaggio… magari un giorno sentiremmo anche di doverli ringraziare!

                                                                                  
                                                                                                                  Dott.ssa Stefania Attanasi



Bibliografia

Andolfi M., Loriedo C., Ugazio V. (2011). Depressioni e sistemi - Il peso della relazione.- Franco Angeli, Milano.

DSM- IV- TR (2007) Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, Text Revision, Masson Spa, Milano.

Hammen C.(1999). The Emergence of an Interpersonal Approach to Depression. In: Joiner T.E. and Coyne J.C., editors, The interactional nature of depression. Washington, DC: American Psychological Association.

Pettit J.W. and Joiner T.E. (2006). Chronic Depression. Interpersonal Sources, Therapeutic solutions. Washington, DC: American Psychological Association.

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