lunedì 25 novembre 2013

"SENZA TE NON VIVO"... QUANDO L'AMORE DIVENTA DIPENDENZA AFFETTIVA


Diego e io (Frida Kahlo 1949)
Negli ultimi anni sta prendendo sempre più spazio nella letteratura psicologica internazionale una dipendenza che, unitamente ad altre nuove forme di dipendenza, non è stata ancora inserita nei manuali dei disturbi psicologici (come il DSM IV) ma che presenta un quadro sintomatologico molto simile alle forme di dipendenza “tradizionali”.
Parliamo della Dipendenza Affettiva o Love Addiction, un disagio psicologico per cui il soggetto che ne soffre tende a vivere la relazione con il partner in modo totalizzante, tanto da dipendere da lui sia emotivamente che concretamente e da provare una grande paura ed ansia di separarsi. Dal punto di vista relazionale sussiste un’ assenza cronica di reciprocità che tende a stressare e a creare nei “donatori d’amore a senso unico” malessere psicologico o fisico piuttosto che benessere e serenità (Gabbard, 1995).

Ciò che distingue una dipendenza affettiva dalle altre forme di dipendenza sta nel fatto che si dipende non da una sostanza o un oggetto ma da un’altra persona e questo, in realtà, rende più difficoltoso riconoscerla ed affrontarla. Nelle relazioni umane, infatti, una certa quota di dipendenza può essere “normale” e funzionale; si pensi, ad esempio, alla fase iniziale dell’innamoramento in cui la fortissima spinta verso il partner diviene essenziale per il costituirsi di un nuovo legame. O ancora alla relazione di dipendenza che viene a stabilirsi tra una madre e un figlio nei primissimi anni di vita, fondamentale per la sopravvivenza e la crescita di quest’ultimo.
Tuttavia, in una relazione che sia funzionale, questo stato fusionale ha breve durata e tende con il tempo a svanire, nell’amore dipendente, invece, lo stato simbiotico perdura inalterato nel tempo e diventa l’elemento caratterizzante del legame.

Già nel 1945 lo psicanalista viennese Fenichel, nel suo “Trattato di psicanalisi delle nevrosi e psicosi” introduceva il termine “amoredipendenti” proprio per descrivere un tipo di pazienti che necessitavano dell'amore allo stesso modo in cui altri necessitavano del cibo o della droga.
Così come nelle altre forme di dipendenza, infatti, nella love addiction si possono rintracciare queste caratteristiche fondamentali:
Ebbrezza: il soggetto  prova una sensazione di piacere con il partner che non riesce ad ottenere in altri ambiti o in altre relazioni della propria vita;
Tolleranza: il soggetto cerca dosi di tempo sempre maggiori da dedicare al partner, fino a ridurre o trascurare la propria vita sociale o le altre attività quotidiane;
Astinenza: la mancanza del partner, anche per brevissimi periodi, provoca nel soggetto un stato d’allarme e agitazione, tanto da sperimentare sintomi come ansia e panico. Il partner, infatti, è per il dipendente l’unica fonte di gratificazione, la vita senza di lui non è neanche immaginabile.
Dal punto di vista epidemiologico, alcune indagini hanno rilevato che questo disagio tende a colpire soprattutto il sesso femminile, fino a stimare che il fenomeno sia superiore al 90% (Miller, 1994), in questa parte di popolazione, in molti paesi del mondo. E’ stata anche riscontrata una tendenza ad associarsi a disturbi post-traumatici da stress, per cui questa forma di dipendenza può osservarsi in persone che hanno vissuto in precedenza maltrattamenti fisici e emotivi o abusi.

Le persone che ne soffrono sono spesso individui con scarsa autostima, insicuri e che provano senso di inadeguatezza;  hanno poca consapevolezza di sè stessi, del diritto al proprio benessere e a soddisfare i propri bisogni e desideri, aldilà della presenza di un partner. Sono persone che hanno difficoltà a prendere decisioni da sole, che risultano sottomesse e che hanno bisogno di continue rassicurazioni per poter vivere in modo funzionale. Spesso vivono con angoscia l’esperienza della solitudine e hanno paura a sperimentarsi nei vari contesti della vita semplicemente essendo “se stessi”, senza un riferimento affettivo che faccia costantemente di supporto.
Verso il partner, in realtà, può celarsi la sotterranea richiesta di lenire antiche ferite emotive o colmare vuoti affettivi derivanti da esperienze passate negative o traumatiche, di coppia o familiari. Il partner può rappresentare una figura di riferimento genitoriale che guida, protegge e sorregge o, al contrario, si possono ricercare persone problematiche, magari portatori di altre forme di dipendenza (alcolismo, tossicodipendenza, ecc.), da salvare, aiutare e per cui sacrificare la propria vita. In casi estremi si possono portare avanti relazioni distruttive che minano seriamente la crescita ed il benessere dell’individuo e delle persone che ruotano intorno alla coppia (ad esempio dei figli).
Nella vera forma d’amore, invece, l’altro non dovrebbe essere ricercato per colmare dei vuoti o completare parti di sé mancanti ma dovrebbe solo aggiungere benessere, un benessere già esistente e costituito, che è solo della persona, e solo della persona, precisa responsabilità costruire. La relazione, lontano da logiche di potere e dipendenza, dovrebbe arricchire l’ esistenza di ciascun partner di emozioni positive, l’altro dovrebbe essere un complice, un compagno di squadra con cui condividere le gioie ed affrontare le sfide dell’esistenza.

A tal proposito, mi piace molto la metafora utilizzata da Whitaker in “Considerazioni notturne di un terapeuta della famiglia”, in cui parlando delle relazioni di coppia scrive:
“Il matrimonio può essere più facilmente compreso in termini metaforici. E’ come qualcuno che ha imparato a giocare a tennis e decide che giocare il doppio è più divertente. Il campo è più grande. Lo sforzo fisico minore e il bisogno individuale di essere un eroe è meno ipnotizzante. Giocare il singolo può infatti essere una scelta dettata dal delirio di diventare campione del mondo. Giocare il doppio è una metafora diversa. Il campo è diviso in due metà. Ognuno è responsabile dei colpi che cadono nella propria metà ed è responsabile, come diade, in ogni decisione che riguarda quale palla prendere o lasciare al compagno di squadra.”

Tra i tanti spunti che queste parole ci offrono mi sembra importante sottolineare, rispetto al tema della dipendenza affettiva, quanto sia fondamentale nella vita imparare a giocare da soli, come pre-requisito per poter successivamente giocare in doppio, in modo più funzionale e divertente. Partire da questa competenza rispetto alla propria esistenza, per poter poi costituire un’alleanza più solida e gratificante all’interno della coppia.
Se il giocare da soli, invece, dovesse rappresentare un’ esperienza dolorosa che libera antichi e paurosi fantasmi, sarebbe meglio, prima o poi, fermarsi per guardali, conoscerli, farci i conti e magari un giorno riuscire a farceli amici … e ripartire da quest’ incontri creativi come punto di inizio per imparare ad amarsi.
Sarebbe bello se si potesse sostituire alla frase “Senza te non vivo”  le parole “Dovrei imparare a vivere da solo!”…  Quante possibilità in più potrebbero svelarsi!

                            
                                                                                                              Dott.ssa Attanasi Stefania

giovedì 31 ottobre 2013

Crisi di coppia: riconoscere i segnali ed i possibili percorsi di cambiamento


Anche quest'anno in occasione del Mese del Benessere Psicologico 2013, organizzato dalla Sipap in molte regioni d'Italia, ho condotto un seminario finalizzato alla promozione della cultura e del benessere psicologico. Il tema proposto ha riguardato la "Crisi di coppia: riconoscere i segnali ed i possibili pecorsi di cambiamento".
La partecipazione da parte della cittadinanza è stata numerosa e molto interessanti il dibattito e le riflessioni finali. 
Grazie a tutti per aver partecipato!

sabato 29 giugno 2013

ESTATE: RITROVARE IL TEMPO… PER RITROVARSI!



Due donne tahitiane (Gauguin 1891)

La tanto attesa estate ormai è arrivata, c’è chi ha già prenotato un volo per una capitale europea o una meta esotica, chi si è trasferito nella casetta al mare tanto amata e chi invece preferisce restare in città a godersi i monumenti senza il solito traffico… Qualunque sia la scelta optata, però, l’obiettivo è sempre lo stesso: staccare dalla routine invernale per rilassarsi, divertirsi e recuperare le energie perse durante l’anno lavorativo. 
Oltre a questi doverosi e piacevoli appuntamenti con il relax, però, potrebbe rivelarsi utile pensare al periodo estivo anche come ad un’occasione favorevole per il nostro benessere psicologico, un lasso di tempo in cui abbiamo la possibilità di fermarci e “ritrovare” un po’ noi stessi, soprattutto in quegli aspetti più creativi e spontanei trascurati nei mesi appena trascorsi.

Immersi nel tran tran quotidiano dei ritmi lavorativi, infatti, siamo sempre più orientati al “fare” e ci dimentichiamo quanto sia importante per il benessere psicologico “sentirsi” e sintonizzarsi con le proprie emozioni e i propri bisogni. Schiacciati dagli impegni e dai doveri tendiamo a controllare o trascurare il nostro mondo emotivo in quanto potrebbe interferire negativamente con la nostra produttività. Tale atteggiamento però, funzionale in determinati contesti e momenti, alla lunga rende la nostra quotidianità una routine serrata, una serie di diapositive in bianco e nero che si succedono velocemente e in modo automatico. Tutto ciò può anche contribuire a portare avanti situazioni problematiche che ci procurano stress, impedirci di apportare dei cambiamenti nella nostra vita, togliendo spazio a nuove energie e possibilità.

L’estate però invita a rompere questi schemi rigidi, è un momento prezioso per staccare la spina e provare a rinnovarsi, un’ occasione per lasciarsi andare e riconnettersi più facilmente con le proprie risorse interiori.
… E così, distesi sul bagnasciuga a prendere il sole e a rinfrescarci, potremmo ritrovarci a fantasticare su desideri rimasti in un cassetto troppo a lungo o ad immaginare con occhi socchiusi e rilassati nuovi progetti da intraprendere per l’anno che verrà, portando quell’ondata di freschezza anche nella nostra vita!

                                                                                                                       Dott.ssa Stefania Attanasi

mercoledì 22 maggio 2013

CUPIDO COLPISCE MA L’INCANTESIMO SVANISCE ... QUANDO LE FRECCE NON BASTANO

Amor vincit omnia (Caravaggio 1602)
L’esperienza dell’innamoramento è universale, da sempre poeti e studiosi di ogni cultura e civiltà scrivono e si interrogano intorno all’amore, questa forza creativa che pervade e sconvolge l’animo umano, capace di smuovere, cambiare ed arricchire di significati l’esistenza di ognuno di noi. Sebbene, infatti, l’amore (Eros) venga storicamente e comunemente contrapposto alla logica ed alla ragione (Logos), le teorie, idee e riflessioni intorno a questo tema proliferano ovunque e spaziano in molteplici campi dello scibile umano (psicologia, filosofia, biologia, ecc.). 

Ma cos’è quindi l’amore e qual’ è la scintilla che l’accende?... Chiunque voglia cimentarsi in ricerche approfondite noterebbe che in realtà non esiste una definizione chiara ed univoca dell’amore e che infinte possono essere le risposte a queste domande, almeno quante gli individui esistenti sulla terra. Ognuno di noi, infatti, ispirato ed influenzato dalle proprie relazioni, esperienze e contesti coltiva idee, struttura premesse (romantiche, passionali, ecc.) e con queste orienta, più o meno consapevolmente, le proprie scelte intime ed affettive.
Anche le scintille che accendono il fuoco dell’innamoramento sono altrettanto infinite, talvolta basta uno sguardo, una parola, un gesto o al contrario possono trascorrere lunghi periodi di corteggiamento e attesa; qualunque sia la modalità, però, questa scintilla illumina parti profonde di noi stessi, coinvolgendo dimensioni intime mai perfettamente conoscibili. In un dato momento si comprende solo che qualcosa dentro di noi cambia, si percepiscono nuove e forti emozioni, pensieri ricorrenti e piacevoli tormenti …

E’ importante però differenziare ciò che caratterizza lo stato nascente dell’amore dal successivo stabilirsi di una relazione più duratura e consolidata, momenti psicologici e relazionali che vengono talvolta confusi e che risultano invece profondamente diversi.
Infatti, esaminando dal punto di vista psicologico e relazionale, ciò che accade nella fase iniziale dell’innamoramento quando Eros ha appena scoccato la sua freccia, diversi autori presenti in letteratura mettono in luce l’aspetto illusorio di tale condizione. E’ questo un particolare stato dove il partner verso cui abbiamo rivolto l’attenzione e interesse viene ad essere percepito come “la perfetta metà della mela”, un elemento nuovo, capace di rispondere in maniera positiva e totale ai nostri bisogni ed aspettative (Solfaroli Camillocci, 2010). In questa fase ogni caratteristica contrastante con tale immagine idealizzata tende ad essere sottovalutata o “non vista” e si appianano quelle inevitabili differenze tra i partner che nelle fasi successive del rapporto potrebbero essere origine di incompatibilità e contrasti.

Laing (1969), un famoso psichiatra scozzese, descrive il meccanismo psicologico della collusione (etim. cum ludere: giocare insieme) per spiegare anche la tendenza, nella fase iniziale dell’innamoramento, a rimandare all’altro quelle parti di noi che desideriamo con forza vengano riconosciute. In  “L’io e gli altri” specifica che la spinta di un individuo a relazionarsi con l’altro avverrebbe per condividere il desiderio “di avallare la propria nozione di se stessi elaborata in fantasia e di prestare a questa finzione una certa sembianza di vita”. La collusione pertanto sussisterebbe quando una persona trova l’altra capace di confermarla nella posizione di fantasia che egli stesso cerca di rendere reale, generando un gioco, un incastro di inganni ed auto-inganni. 
Questi meccanismi però, seppur illusori, risultano funzionali nella fase iniziale dell’innamoramento in quanto favoriscono l’incontro e facilitano il processo di formazione della coppia; sono gli stessi, infatti, che consentono all’innamorato di sperimentare quell’insieme di forti e piacevoli emozioni tipiche di questa condizione: euforia, eccitazione, appagamento, ecc.


L’incantesimo iniziale però tende con il tempo a svanire; alcuni autori, nello specifico, collocano la sua durata tra i sei e i nove mesi, altri la spostano fino ai primi tre anni di una relazione; anche perché, così riferiscono alcuni studi in materia, risulterebbe troppo dispendioso in termini energetici per l’organismo umano se simili emozioni caratterizzassero anche le fasi successive della relazione.
L’euforia e l’eccitazione iniziali dovrebbero invece lasciar spazio gradualmente ad un amore più maturo in cui cominciano ad emergere e svelarsi entrambe le individualità dei partner, ciascuna con i propri e differenti bisogni, limiti e risorse; la relazione dovrebbe iniziare a caratterizzarsi per una maggiore reciproca conoscenza, intimità ma anche più regole, impegno e responsabilità.

Il passaggio a questa nuova fase, tuttavia, non è affatto semplice o scontato; talvolta, infatti, svanito l’incantesimo dell' innamoramento, può rivelarsi una discrepanza quasi “traumatica” tra il partner idealizzato, agognato e il partner reale e le differenze intersoggettive emergenti possono non essere reciprocamente riconosciute o tollerate. Possono generarsi vissuti di tradimento o di profonda solitudine (Solfaroli Camillocci, 2010), l’amore può scomparire e la coppia può facilmente andare incontro alla rottura.
Pertanto, in questa nuova fase della relazione, risulta fondamentale la capacità di riconoscere ed accogliere la soggettività ed unicità dell’altro, ciascuna con il proprio mondo di significati, differenti bisogni, pregi e difetti.

Diversamente dall’innamoramento, infatti, in cui l’incontro appare un perfetto incastro tra due individualità, se anche nelle fasi successive della relazione di coppia si pretende di appianare le “scomode” differenze dell’altro, aspettandosi che diventi ciò che si desidera, l’amore può divenire simbiosi o trasformarsi in forme violente.
L’inevitabile diversità tra i partner, invece, andrebbe considerata non solo un limite ma anche un punto di forza della relazione, come possibilità di poter accedere ad un più vasto bagaglio di risorse, utili per fronteggiare le difficoltà che la coppia incontrerà nel corso della vita. Le risorse dell’altro, infatti, permettono di rimediare alle proprie incapacità ed incompetenze, accrescendo così il senso di efficacia e l’autostima di entrambi; saperle riconoscere ed utiizzarle risulta quindi fondamentale per il benessere e la durata del legame.

A tal proposito, significativo appare ciò che il filosofo francese Levinas spiega nel suo saggio “Totalità e Infinito”, proponendo una nuova “etica” della relazione e richiamandoci alla responsabilità che tutti noi abbiamo verso l’Altro (che è altro da me e quindi diverso da me) di riconoscergli il diritto alla sua unicità e diversità:
“Noi chiamiamo volto il modo in cui si presenta l'Altro. Questo modo non consiste nell’ assumere di fronte al mio sguardo la figura di un tema, nel mostrarsi come un insieme di qualità che formano un'immagine. 
Il volto d'Altri distrugge ad ogni istante e oltrepassa l'immagine plastica che mi lascia".

Secondo Levinas l’Altro supera le immagini e le idee che costruiamo su di esso, l’Altro è senso per sé e perciò si sottrae al possesso, è sempre una rivelazione che sconvolge, verso cui è etico mantenere un atteggiamento di curiosità ed apertura.
Utilizzerei quindi le preziose lenti di Levinas per guardare nuovamente alla coppia come uno luogo relazionale in cui prende vita uno speciale incontro tra due soggettività, le quali, pur decidendo di procedere insieme per i sentieri dell’esistenza, restano tra loro sempre profondamente diverse.
Nella vera forma d’amore, infatti, il partner, lungi dall’essere considerato “la perfetta metà” con cui ri-congiungersi per ritrovare la propria parte mancante, è un individuo che nella sua diversità non sarà mai perfettamente conoscibile ed afferrabile.


                                                                                                     
                                                                                                     Dott.ssa Stefania Attanasi

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Laing R. D. (1969), L’io e gli altri. Psicopatologia dei processi interattivi, Firenze, Sansoni.
Lèvinas E. (1961), Totalità ed infinito, Saggio sull’esteriorità, Jaca Book.
Solfaroli Camillocci D. (2010), Up e down. Solitudine e potere nella coppia, FrancoAng
eli.